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lunedì 6 agosto 2012

Anna anesthetized


Fu solo dopo aver visto la bottiglia di wodka, completamente vuota , che Anna realizzò...
Era accaduto ancora una volta, così si precipitò al telefono, alla cronologia ed i suoi sospetti divennero realtà.
Lo aveva telefonato, lo aveva tormentato nuovamente.
Perchè era attratta da quell'uomo che non le aveva mai mostrato interesse?
Perchè mai?
Forse perchè lei  era assecondata in ogni capriccio...
Lei  otteneva sempre ciò che voleva...
A lei che le bastava uno sguardo ed una parola per far  cadere ai suoi piedi qualsiasi uomo...compreso il suo , che la seguiva in ogni corsa stramba che intrapendeva.
Cosa le stava accadendo?
Agli occhi di quell'uomo era insignificante, come le cose che scriveva...
Dopo essersi accertata di essere caduta nuovamente in tentazione ... provò a rimediare con un sms di scuse, ma la risposta di Paolo fu molto secca:
" Cancella il mio numero , per piacere"
Paolo non era bello, anzi  una via di mezzo tra il  ridicolo e l'insignificante, basso, occhi e capelli scuri un tipo che passa inosservato, ma per lei era terribilmente affascinante... forse perchè era inafferrabile, profondo e malinconico come i suoi racconti , che non smetteva mai di leggere.
I suoi racconti erano intrisi di una malinconia che le apparteneva, c'era quasi una "solitudine di vita" nella quale si riconosceva pienamente.
Così non sapendo cosa fare, cominciò a scrivere per lui,  un giorno, prima o poi l'avrebbe letta.


Con gli occhi al cielo

Sono stata notti a tentare di trovare
 le parole adatte
 a quello che pensavo fosse
un disastro del quale ero l’artefice.
Notti a cercare giustificazioni,
per scelte non programmate,
e avvolta nel buio ho dimenticato
che le risposte non esistono.
Guardo il cielo terso ora,
nessuna preoccupazione
tormenta i miei  pensieri più reconditi,
l’immensità mi ha reso viva…
Lascio che il sole mi accechi
gli occhi e li faccia lacrimare,
così da dare sfogo all’anima
che innocente corre in me.
Anna



 Vostra Carpe Diem

Il giardino incantato



Volevo salutare il piccolo giardino incantato che mi accoglie nelle giornate di sole. Non sempre mi concedo a lui, spesso sono in casa,  ma a volte, quando voglio un momento mio, quando ho voglia di silenzio e di pace, vado lì, nel piccolo paradiso ... piccolissimo giardino.

Dietro all’anonimo muro di cinta, conserva una calma irreale, la luce soffusa filtrata dagli alberi, un maestoso silenzio, una piccola arroganza di quiete in tanto tumulto.


Ma come varchi la porta ecco che lasci alle spalle tutti i carichi della vita, da quell’ingresso stretto non può passare nient’altro che te stesso, i guai, le preoccupazioni, le mille parole i mille pensieri no, quello zaino sulle spalle non passa di lì. Lì dentro entri solamente per come sei, vai lì per stare con lui così com’è, immutabilmente accogliente.
Ha assistito a tante mie cose, il piccolo giardino: lì dentro ho fatto picnic d’amore, festeggiato un compleanno con panini, torta e piccolo spumante, lì ho dormito  dopo una notte di mille baldorie prima di rituffarmi nel lavoro, e tante volte mi sono presa mezz’ora per me e per il mio amico libro e per i miei amici pensieri.
 Ieri, per esempio, mi sono deliziata nel confronto con gli altri giardini pubblici che ho incontrato nella vita: il ricordo lontano di quell’estate a New York, quando, provinciale al massimo, meravigliata di tutto, pranzavo come una di loro nei piccoli cortili sulla strada. Ho pensato anche a quanto diverso è dai grandi e perfetti giardini di Londra, tu piccolo e un po’ spettinato, ma anche io mi sento così, per questo ti cerco.

Carpe Diem

Non voglio!



Perché non voglio,
non voglio più stare male, essere catturata nelle spire di un’altra mente, perché non voglio più plasmarmi su aspettative che non siano le mie, perché non voglio più essere felice se faccio felice e essere infelice se rendo infelice.
Mi dispiace, scendo, anzi, sono già scesa!!!

Nelle relazioni si può stare solo se si è disposti ad accettare il giusto compromesso, che si accetta solo quando c’è amore, se non c’è amore è solo lotta e sterile terra di conquista.
Da dove nasce tutto questo?

 Per esempio anche da qui, da questo inizio di articolo che ho letto su Le Monde Diplomatique scritto da Dubrayka Ugresic, scrittrice serba in esilio: “In un vecchio film sovietico, ispirato al romanzo di B. Levreniev “Il Quarantunesimo” c’è una scena che mi chiama in causa.
Il film racconta la storia di una giovane e coraggiosa soldatessa dell’Armata rossa che cattura un nemico e se ne innamora.
A un certo punto al suo compagno manca la carta per le sigarette.
E lei, generosamente, dà al prigioniero il solo oggetto prezioso che possieda:un modesto blocchetto a cui ha affidato dei versi.
Lui arrotala il tabacco con le poesie della soldatessa e le fuma a sbuffate insolenti, fino all’ultima riga.”

Le parole per alcune sono una forma di arte, per altri una forma di espressione, c’è chi le usa per creare e chi per comunicare, per alcuni sono importanti per altri sono inutili. Chi ne è padrone può usarle come una spada, e come con una spada può giocarci e disegnare mille arabeschi e danzarci insieme, oppure può essere freddo e tagliente e recidere, come è da sua natura.
Io le uso perché ne ho troppe dentro, di parole, di immagini e sensazioni, e me ne libero scrivendo, le faccio uscire perché ho bisogno di fare un po’ di posto per fare entrare nuove sensazioni, che subito danzano dentro di me e creano quelle immagini che racconto.
Ad alcuni le partecipo e  le offro come la cosa più preziosa che ho.
Ma non accetto che nessuno usi il mio blocchetto di parole per farsi una sigaretta.
A qualcuno l’ho permesso, adesso non più.

Carpe Diem