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lunedì 6 agosto 2012

Non voglio!



Perché non voglio,
non voglio più stare male, essere catturata nelle spire di un’altra mente, perché non voglio più plasmarmi su aspettative che non siano le mie, perché non voglio più essere felice se faccio felice e essere infelice se rendo infelice.
Mi dispiace, scendo, anzi, sono già scesa!!!

Nelle relazioni si può stare solo se si è disposti ad accettare il giusto compromesso, che si accetta solo quando c’è amore, se non c’è amore è solo lotta e sterile terra di conquista.
Da dove nasce tutto questo?

 Per esempio anche da qui, da questo inizio di articolo che ho letto su Le Monde Diplomatique scritto da Dubrayka Ugresic, scrittrice serba in esilio: “In un vecchio film sovietico, ispirato al romanzo di B. Levreniev “Il Quarantunesimo” c’è una scena che mi chiama in causa.
Il film racconta la storia di una giovane e coraggiosa soldatessa dell’Armata rossa che cattura un nemico e se ne innamora.
A un certo punto al suo compagno manca la carta per le sigarette.
E lei, generosamente, dà al prigioniero il solo oggetto prezioso che possieda:un modesto blocchetto a cui ha affidato dei versi.
Lui arrotala il tabacco con le poesie della soldatessa e le fuma a sbuffate insolenti, fino all’ultima riga.”

Le parole per alcune sono una forma di arte, per altri una forma di espressione, c’è chi le usa per creare e chi per comunicare, per alcuni sono importanti per altri sono inutili. Chi ne è padrone può usarle come una spada, e come con una spada può giocarci e disegnare mille arabeschi e danzarci insieme, oppure può essere freddo e tagliente e recidere, come è da sua natura.
Io le uso perché ne ho troppe dentro, di parole, di immagini e sensazioni, e me ne libero scrivendo, le faccio uscire perché ho bisogno di fare un po’ di posto per fare entrare nuove sensazioni, che subito danzano dentro di me e creano quelle immagini che racconto.
Ad alcuni le partecipo e  le offro come la cosa più preziosa che ho.
Ma non accetto che nessuno usi il mio blocchetto di parole per farsi una sigaretta.
A qualcuno l’ho permesso, adesso non più.

Carpe Diem


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